Il blog degli studenti di Archeologia di Catania

Una gita su per “La Montagna”…

di Santo Salvatore Distefano

foto: Giulia Raimondi e Pagina FB del Museo Civico Archeologico di Ramacca

12696723 522205764628982 1564212089 o

Sabato 30 Gennaio scorso l’Associazione ArcheoUnict ha inaugurato il ciclo di visite per l’anno 2016 a Ramacca, in compagnia del Prof. Dario Palermo, Ordinario di Archeologia Classica all’Università di Catania e Direttore Scientifico del Museo Civico Archeologico di Ramacca, dove ci ha accolto la Dr.ssa Laura Sapuppo, che, insieme ad un piccolo, ma tosto, gruppetto di appassionati ed “addetti ai lavori”, cerca sempre di dar linfa vitale a questo paradiso archeologico di provincia.

12669964 522206394628919 1149828721 o       12656318 522206361295589 1079326943 o

 

All’interno del palazzo museale, dopo un iniziale abbandono ai ricordi da parte del Prof. Palermo, protagonista in loco sin dalla prima ora, insieme al compianto Enrico Procelli e ad altri giovanissimi archeologi di allora, la visita è continuata con l’esplicazione delle vetrine e del loro contenuto, procedendo dall’età preistorica insino al Medioevo; successivamente ci si è spostati in un altro spazio espositivo, dedicato al poeta vernacolare Vito Tartaro, da poco scomparso, passando, nel frattempo, nell’ala dedicata alla musica ed alle bande musicali siciliane tra Otto e Novecento.

12669834 522206561295569 251906417 o       12669142 522206291295596 165826236 o

 

Un piccolo break, tra biscotti e bevande varie, ci ha permesso di intervallare la giornata, prima di dirigerci verso il parco archeologico comunale de “La Montagna”, luogo ricco sia di attestazioni archeologiche che naturalistiche.

L’ascesa (a piedi!) del colle ameno ha permesso di scorgere i resti di un antico centro greco indigeno, con le sue necropoli, l’abitato e gli edifici comunitari, databile prevalentemente tra l’età del Bronzo e l’epoca arcaica, messo in luce, tra gli anni Sessanta ed Ottanta, da un team di archeologi, di cui facevano parte, tra gli altri, anche Dario Palermo, Massimo Frasca ed Enrico Procelli.

12695090 522206674628891 1982618671 o       

Così, dopo aver ricreato lo spirito, consentendo a tutti di smaltire lo “spuntino”, abbiamo ricreato anche il corpo, grazie al pranzetto, a base di prodotti locali e genuini, di cui ci ha voluto omaggiare un panificio, da poco aperto, formato da cinque giovani, meravigliose, nonché tenaci sorelle (ed a cui noi facciamo un grandissimo “in bocca al lupo” per un avvenire pieno di soddisfazioni e traguardi!).

Infine, dopo un bicchiere di vino e la foto di rito, stanchi ma felici, l’allegra brigata ha fatto ritorno alla base, con un bagaglio di emozioni e sensazioni davvero difficili da dimenticare…

 

12674248 522206741295551 1685965504 n     12665785 522206677962224 1745753019 n     12674660 522206704628888 827542816 n

12650753 522206771295548 510972072 n

Comunicare il Patrimonio Culturale: Incontro con la giornalista Isabella Di Bartolo

di Francesca Pulvirenti, foto di Giulia Raimondi.

La Sicilia possiede un patrimonio culturale di inestimabile valore. Tale valore rimarrebbe, e in certi casi ancora rimane, fine a se stesso se non venisse correttamente comunicato e quindi reso accessibile a un vasto pubblico di non solo professionisti del settore.

La comunicazione è un problema noto a tutti gli archeologi e anche noi, studenti e archeologi del futuro, fin dalle nostre prime esperienze, ci siamo resi conto di quanto essa sia importante e fondamentale per poter raggiungere lo scopo principale dei nostri studi, ossia ricostruire il passato e restituirlo alla collettività.

L’università in questi ultimi anni, grazie anche all’interesse di alcuni professori e all’organizzazione di seminari e incontri, è riuscita a far scoprire a noi studenti la comunicazione come elemento chiave per la valorizzazione del nostro patrimonio. Questo è stato il tema principale di un incontro organizzato sabato 5 dicembre presso il Dipartimento di Scienze della Formazione di Catania dalla professoressa Rosalba Panvini, soprintendente ai Beni culturali e ambientali di Ragusa e Siracusa, e dal professore Dario Palermo, docente di Archeologia classica; ospite di questo incontro è stata Isabella Di Bartolo, giornalista di fama nazionale e archeologa di formazione. L’evento, inserito all’interno del ciclo di lezioni di” museologia e museografia”, è stato seguito con entusiasmo da studenti del corso di Laurea magistrale in Archeologia e del corso di Laurea triennale in Formazione di operatori turistici.

12376435 503733143142911 4441352347730716544 n

La dott.ssa Di Bartolo, giornalista per i quotidiani La Sicilia e La Repubblica, mostra fin da subito la sua innata dedizione professionale nella comunicazione del patrimonio culturale. Da vera siciliana, pone il suo interesse principalmente sui beni archeologici, storici e artistici della nostra isola, i quali, così abbondanti e ampiamente diffusi in tutto il territorio, sono spesso sconosciuti anche a chi vive in loco. Proprio partendo da questa problematica si è sviluppato l’incontro, nel quale la dott.ssa Di Bartolo ha voluto lanciare anche alcune provocazioni rivolte verso una visione ancora del tutto chiusa e conservatrice di molti archeologi che, nonostante svolgano la loro professione con serietà e dedizione, tralasciano la fase della comunicazione dimenticando che il patrimonio culturale è di interesse pubblico e in quanto tale appartiene alla collettività.

Il punto di partenza per chi vuole divulgare i beni culturali è tenere presente che il pubblico a cui ci si rivolge non è quello degli “addetti ai lavori” e di conseguenza diventa necessario adattare il proprio linguaggio, semplificarlo e tradurre il lessico specialistico in uno più diretto e più facilmente recepibile.

Il lavoro di un giornalista che si occupa di divulgazione culturale non è affatto semplice. La dott.ssa Di Bartolo, infatti, proponendoci alcuni esempi di suoi articoli recentemente pubblicati sui quotidiani, ha affermato come non sempre basta esporre in maniera chiara e diretta un bene culturale o un evento legato a esso, ma è necessario andare oltre, in maniera tale da suscitare la curiosità del lettore che si trova a sfogliare le pagine del giornale o che scorre velocemente gli articoli dei quotidiani on-line. Nel pezzo giornalistico, quindi, oltre a presentare l’oggetto del discorso è necessario, o almeno è auspicabile, inserire elementi quali aneddoti, storie, emozioni personali che possono rendere più vicina a chi legge la materia trattata. Così, ad esempio, per introdurre la mostra degli Ori del British Museum al Museo Paolo Orsi di Siracusa si può parlare della tresca amorosa di Lady Hamilton con Horatio Nelson e quindi dare una spiegazione dell’acquisto degli ori e il loro arrivo in Inghilterra, oppure rinominare Miss Preistoria una donna vissuta 5.900 anni fa, i cui resti sono stati rinvenuti in contrada Scintilia nel comune di Favara e analizzati con moderne tecnologie.

Questi e molti altri esempi, ricavati dagli articoli della dott.ssa Di Bartolo, ci fanno comprendere quanto sia fondamentale il modo di esporre, divulgare e comunicare il nostro patrimonio senza, però, scadere nella banalità che è un rischio con cui ogni divulgatore culturale deve fare i conti per evitare di sminuire il valore intrinseco delle testimonianze del nostro passato.

12346382 503733259809566 1669579093245814033 n

"Patrimonio Al Futuro", il lato sociale dei Beni Culturali. Utopia o progetto concreto?

 

 

di Ghiselda Pennisi

 

Si è svolto in questi giorni un vero e proprio tour per presentare, quello che è si autodefinisce un “Manifesto per i Beni Culturali e il Paesaggio”, il nuovo libro del Professore Giuliano Volpe “Patrimonio al Futuro”.

Non credo sia un caso che un libro come questo sia stato scritto da un “archeologo del paesaggio”, una persona, cioè,  abituata a vedere il paesaggio non come luogo fisico da ammirare e basta ma piuttosto come luogo di interazioni, posto in cui soggetto e oggetto sono inscindibili e agiscono all’unisono in un unica totalità! (Farinelli)

In un momento di grave crisi economica e sociale che colpisce il nostro paese e anche la nostra professione, i beni culturali sono tornati ad essere materia ed interesse di pochi, riducendosi troppo spesso a “chiacchiere salottiere e polemiche tra schieramenti contrapposti” (usando le parole dell’ autore) suggellando un vero e proprio “divorzio tra cittadini e patrimonio”, come se l’archeologo fosse detentore di chissà quale verità incomprensibile al prossimo. Questo libro ha il merito di tentare di sdoganare la figura dell’archeologo ridandogli una sua collocazione e funzione sociale. La ricerca  archeologica dovrebbe rappresentare un elemento essenziale di un processo deci¬sionale che riguarda tutti i cittadini, sia in quan¬to portatori di interessi specifici sia come fruitori di servizi collettivi, collocandosi alla base dell’azione istituzionale.

Nell’affrontare una tematica come quella del rapporto tra archeologia, pianificazione e valorizzazione, l’archeologo, ma più in generale l’operatore dei beni culturali, si presta ad essere una figura essenziale in grado di fornire una chiave di lettura storica dell’evoluzione del paesaggio. Libero dalla retorica che lo dipinge diversamente da quello che è e che fa,  si esorta l’archeologo a riappropriarsi del linguaggio della comunicazione, a recuperare la dimensione del racconto di sé, della storia, del territorio, e porsi  come interfaccia positiva tra racconto del passato e progettazione del futuro, affermando così ruolo sociale.
Quello di Volpe è un libro, che come ha detto la prof.ssa Mariarita Sgarlata, ci risparmia l’ennesima retorica dei beni culturali, e si pone come obiettivo il traghettare il patrimonio acquisito verso il futuro in una nuova ottica di tutela, non del proprio interesse privato, ma di quello della collettività, opponendosi al degrado e al saccheggio dei beni comuni.

Tanto spazio nel dibattito ha trovato il rapporto tra il patrimonio e i bambini. Sia a Siracusa che a Catania ci si è interrogati sui dati pubblicati in questi giorni da Save The Children nell’ambito del Rapporto “Illuminiamo il futuro 2030 - Obiettivi per liberare i bambini dalla Povertà Educativa”; da tali dati risulta che durante lo scorso anno, il 69,4% dei bambini italiani non ha visitato un sito archeologico e il 55,2% un museo.  A questo punto ci si è interrogati sul perché: “sulla carta” il museo dovrebbe rappresentare un luogo  deputato alla memoria antica e contemporanea e alla trasmissione culturale;  e fin qui ci siamo! Ma già da tempo, in tutta Europa e forse nel Mondo, il museo ha smesso di essere un mero “contenitore” diventando luogo di sintesi di cultura, fulcro di interventi d'integrazione dei servizi culturali e non; nonché, di per sé, polo attrattivo del turismo e  luogo di riconoscimento di un’identità territoriale. Da quanto emerso dal dibattito purtroppo qui si è ancora ben lontani da questo concetto, sembra piuttosto che i musei siano, spesso “musei di sè stessi”, realtà parallele all’interno dei territori, portali spazio-temporali riservati, appetibili e accessibili solo per pochi eletti. I musei, al contrario, dovrebbero contribuire a recuperare la "saggezza" del passato in modo da renderla utile per il FUTURO.

Bisogna avere una “visione olistica” del nostro patrimonio, ma anche del nostro modo di concepire il nostro lavoro.  E’  arrivato il momento di adeguare la nostra professione all’esigenze del futuro che è imminente, bisogna “tenere vivo il fuoco della tradizione ma non adorarne le ceneri”, la storia non sia studiata o letta come adorazione intoccabile delle ceneri, ma come spinta ad un continuo miglioramento; per essere “conservatori ma non conservatoristi” è necessario trovare e sperimentare nuove forme di condivisione e coordinamento organico tra i diversi attori, statale e comunale, abbandonando l’accademico autoreferenzialismo.


Il libro di Volpe è dunque, a mio avviso, una lucida analisi della situazione “sanitaria” del nostro patrimonio e di chi lo gestisce, ma a differenza dei vari pamphlet e carhiers de doléances sul patrimonio in circolazione, oltre la diagnosi, propone una terapia e forse anche una cura.

Islàm: Parole-chiave. Una pluralità di termini nella loro unità: incontro con la prof.ssa Laura Bottini

di Antonella Di Rosa, foto di Giulia Raimondi.

Per uno di quei paradossi che la cronaca ci propone spesso, la tragedia di Parigi è avvenuta appena tre giorni prima dal secondo incontro del laboratorio “Conoscere il mondo arabo-islamico” che si è svolto lo scorso martedì 17 novembre, in un Auditorium, quello dell’ex Monastero dei Benedettini, gremito di studenti e cittadini. Attesa sin dall’inizio la presenza del Magnifico Rettore, Giacomo Pignataro, il quale invitando i presenti al rispetto di un minuto di silenzio nel ricordo delle 130 vittime dell’avvenuta strage, ed esprimendo il suo cordoglio a nome dell’Ateneo catanese, ha cosi poi aggiunto:
<<La nostra mente ci suggerisce, deve suggerirci che non possiamo cedere alla rabbia, perché se lo facessimo avremmo consentito agli assassini di vincere, avremmo smarrito la nostra umanità. Occorre continuare a lavorare per un’integrazione, occorre far di più e di meglio rispetto a quanto siamo riusciti a fare finora e lo dobbiamo fare nella chiarezza>>.Inoltre, il Magnifico Rettore ha più volte espresso la piena disponibilità da parte dell’Università Catanese nei confronti dei molti studenti che in questo momento si trovano in Erasmus nella capitale francese. A seguire l’intervento del professore Jean Yves Le Leap, lettore di madrelingua francese del Dipartimento di Scienze Umanistiche, il quale ha espresso: <<Quest’anno la città di Parigi è stata colpita due volte dagli attacchi jihadisti. Vi assicuro che dopo i fatti di Charlie Hebdo nessuno se lo aspettava>>, cercando, dunque dispiegare al pubblico presente come“l’origine di questi fenomeni sociali cova dentro la Francia ormai da decenni”, perché continua il lettore madrelingua: << nelle periferie parigine ci sono molti ragazzi di colore. Questi giovani sono figli o nipoti di immigrati, sono nati in Francia e sono francesi a tutti gli effetti ma vengono discriminati dai loro stessi coetanei per il colore della pelle, per il cognome, per le loro origini e perché non hanno un lavoro. Spesso costoro nella loro discriminazione ed esclusione dalla società che li ha accolti si rifugiano nella Rete, della quale si serve lo Stato Islamico per compiere una sorta di frustrazione proponendo loro un fantomatico ricongiungimento con le radici, portando queste persone ad andare in Siria, tornare quindi in Francia e rendersi protagonisti di episodi tragici come quelli di qualche giorno fa. I media non fanno altro che parlare di repressione ma così si rischia di alimentare altro odio e altra emarginazione>>. Presente anche l’avv. Ferdinando Testoni Blasco, console onorario in Francia, che ha parlato di una vera e propria“ghettizzazione dei musulmani in territorio francese la qual non può giustificare un atto di viltà e orrore come quello subito dal popolo parigino”. Continuando il suo discorso ha anche rivolto un monito ai giovani presenti dicendo loro:<<Voi che rappresentate il futuro, avete il compito di battervi affinché ciascuno sia libero di professare la propria religione>>.Infine tali interventi si son conclusi con la lettura della lettera inviata da Agrippina Alessandra Novella, in Erasmus nella capitale parigina, al Rettore, il quale ne ha dato lettura. La studentessa nonché mia collega, ha espresso, nella lettera, il motivo che l’ha spinta a scegliere proprio Parigi per il suo periodo di studio all’estero e racconta che la sera della strage lei si trovava a casa: “Posso dire che lo studio mi ha salvata ma, in quella sera, il mio pensiero era rivolto solo ai miei amici che quella sera avevano deciso di uscire. Ho trascorso tre giorni in silenzio, mentre fuori si respirava aria di guerra”.Nella sua lettera, Agrippina ha più volte sottolineato il suo intento di non tornare in Italia, al momento: “Non torno in Italia quando fuori regna il silenzio a causa degli spari nella notte. Non torno in Italia quando son stati uccisi dei miei coetanei. Parigi è casa, Parigi è famiglia. La Ville Lumière riavrà la sua bellezza e noi la potremo abbracciare presto, come solo questa città merita”.
Terminata la lettura, da parte del Rettore, la parola è passata alla professoressa Laura Bottini, ricercatrice di Storia dei Paesi islamici del Dipartimento di Scienze umanistiche e specialista di onomastica, prosopografia e del dialogo islamo-cristiano. Come recita il titolo del secondo incontro “Islàm: parole-chiave” previsto dal Laboratorio, la professoressa Bottini, nel delineare le 4 coppie di termini ossia: Islàm-Jahiliyya, Sunna- Shia, Sharia-Fiqh, e infine Khalifa-Imam, ha sin da subito precisato l’importanza della semantica nel discorrere a proposito del mondo islamico. Realtà quella islamica della quale, ancora più, alla luce degli ultimi avvenimenti si compiono errori e si esprimono pregiudizi nel discorrere di essa.
I primi due termini analizzati sono stati: Islàm e Jahiliyya, essi sono due termini opposti, resi tali da un particolare momento, ossia quello della Rivelazione di Dio al profeta Muhammad, noto ai più come Maometto. Infatti, l’Jahiliyya, termine meno noto rispetto all’Islàm, rappresenta uno stato di ignoranza che equivale al paganesimo arabo, ed è da intendere sia come momento che precede l’Islàm, sia come l’insieme delle credenze religiose praticate durante questo “stato” di ignoranza. Inoltre colui che vive prima della Rivelazione di Dio credendo nell’esistenza di più dei, viene chiamato jahili. Infine, questa Rivelazione, che storicamente si colloca tra il V e VI sec. d.C, pone termine definitivamente alla Jahiliyya. Il termine Islàm, invece, è da intendere come “atto di chi s’abbandona a Dio, di colui che si dona a Dio”. Come ben sappiamo l’Islàm è la terza religione monoteista rivelata dopo l’ebraismo e il cristianesimo, la sua nascita avvenuta agli inizi del VII secolo in Arabia, coincide con il momento in cui, il libro sacro per gli islamici, il Corano, Al Qur’an, viene rivelato da Dio al profeta Muhammad attraverso l’angelo Gabriele presso il monte Hira, il quale messaggero divino, ne rivelò i primi cinque versetti della Sura. Dunque il profeta compii una sorta di trascrizione terrena della parola divina. Tale Muhammad fu l’ultimo dei profeti e viene definito anche “sigillo di Dio” poiché perfezionò il messaggio divino rivelatogli.
All’interno dell’Islàm, inoltre, si collocano i seguenti atti di culto, atti che ogni singolo rabb/abd ossia servitore deve compiere come perfetta fedeltà al suo Dio. Infatti Egli, mostra la propria signoria attraverso i quattro pilastri: salat, la preghiera, zakat l’elemosina, sawn il digiuno e infine l’hajj ovvero il pellegrinaggio alla Mecca.
Sunna-Shia, è il secondo binomioillustrato sapientemente dalla prof.ssa Bottini, esso rappresenta le due delle tre ramificazioni scaturite all’indomani della prima guerra civile con la battaglia di Siffin del 657. Da tal discordia scaturirono i Kharjiidi, ossiai secessionisti, anch’essi in minoranza come gli Sciiti, dall’arabo Shia, il partito, il seguace. Costoro furono seguaci di Alì, cugino e genero di Maometto, mentre la maggioranza era costituita dai Sunniti, i quali si schierarono con il fondatore della dinastia degli Omayyade. Il termine Sunnita deriva invece da Sunna, cioè il modello da seguire, la pratica, come insieme “di quello che il profeta disse e fece”, dunque la tradizione in sé.
Terza coppia analizzata è quella della Sharia-Fiqh. La Sharia, indica la Legge di Dio, in quanto tale. Legge rivelata come religione profetica nella sua totalità volta a regolare e valutare la condotta umana. La dicitura Fiqh invece è da intendere come una vera e propria discussione accademica. Esso costituisce il diritto positivo cioè quello sforzo che i giuristi compirono per costituire un corpus di norme giuridiche, sociali e culturali, ricavando tale corpus sia dalla Sunnache costituisce la tradizione, sia dal Corano ma anche dal Ijma espressione indicante, l’accordo di opinione della comunità, dal Qijas o principio analogico da applicare ad un caso o atto nuovo non ancora qualificatoe infine dall’Urf ossia la consuetudine. Ultima accoppiata di termini è stata quella delle due figure cardine all’interno dell’Islàm ossia la figura del Khalifa-e dell’Imam. Quest’ultimo termine, diffuso in ambiente sciita viene tradotto come “colui che sta innanzi,davanti” quindi una vera e propria guida spirituale all’interno delle scuole giuridiche, mentre il Khalifa è un’istituzione sannita. Egli rappresenta il capo di Stato, detiene anche il potere esecutivo, oltre a essere il custode dell’eredità morale dei profeti. Infine, egli è anche è il garante del dogma, e del benessere della comunità oltre ad essere garante dell’applicazione della Sharia. Costui è anche un dotto in scienze religiose. Questi quattro gruppi di parole chiave analizzate durante l’incontro rappresentano termini noti e meno conosciuti, che hanno illustrato attraverso la loro varietà l’unità dell’Islàm. Non la sua unicità. In attesa che il profilo generale tracciato dalla prof.ssa Bottini possa tornar utile all’uditorio presente, soprattutto a quello non esperto in materia, ma seppur interessato a conoscere, onde evitar d’ incappare in imprecisioni e inesattezze, possiamo solo attendere il prossimo incontro previsto per martedì 15 dicembre, medesimo orario e medesima location.

Rassegna del Documentario e della Comunicazione Archeologica: intervista ad Alessandra Cilio, direttrice artistica della manifestazione

di Giulia Raimondi, foto dalla pagina della manifestazione 

Nei giorni tra il 22 e il 25 Ottobre 2015 si è svolta a Licodia Eubea (borgo nel cuore degli Iblei), nell’ex Chiesa di S. Benedetto e S. Chiara, la quinta edizione della Rassegna del Documentario e della Comunicazione  Archeologica , in cui si è trattato il tema della musica nel mondo antico, discutendo anche dei nuovi linguaggi da adottare nella comunicazione archeologica.

12243601 10208377199533373 847169019 n

La Rassegna, che si svolge ogni anno dal 2011, è affidata alla direzione artistica di Alessandra Cilio e Lorenzo Daniele, e mira a divulgare, tramite le arti visive, tutto ciò che riguarda l’Antico. Si vuole far conoscere, tramite questa manifestazione, l’archeologia e i suoi protagonisti, e far appassionare profani e non a questo mondo antico fondamentale per conoscere il presente.

La Rassegna è organizzata da Archeoclub d’Italia di Licodia Eubea Mario di Benedetto e da Fine Art Produzioni insieme alla Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Catania, con il patrocinio del Mibact, della Soprintendenza BB. CC. AA. Di Catania e della Rassegna del Cinema Archeologico di Rovereto.

Durante le giornate, nel corso della manifestazione si è potuto assistere alla proiezione di documentari, docu-film e docu-cartoni; si è potuto partecipare a conversazioni con varie personalità (archeologi, ricercatori, registi e produttori cinematografici), assistere a mostre fotografiche (La pittura romana a Sabratha, Libia, a cura dell’Università degli Studi di Macerata) e provare esperienze eno-gastronomiche e molto altro.

12242323 10208377199853381 1197352407 n

Al documentario più gradito dal pubblico è stato conferito il Premio Archeoclub M. Di Benedetto, e il Premio Antonino Di vita è andato a chi si è occupato di diffondere la conoscenza del patrimonio culturale.

Diciotto sono stati i filmati in programma e, fuori concorso, è stato proiettato il docufilm Un giorno la storia passò dal Parco dell’Etna e Tà gynaikeia. Cose di donne.

12248686 10208377201573424 177948993 n

Durante le giornate si sono tenuti incontri con ospiti specialisti: Syusy Blady, regista e conduttrice televisiva; Dario Di Blasi, direttore Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto; Giovanna Bongiorno, regista; Nello Correale, regista e direttore del Festival Internazionale Cinema di Frontiera; Sebastiano Gesù, storico del cinema; Giuseppe Gumina, attore; Amelia Martelli, attrice; Simona Rafanelli, direttrice del Museo Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia; Lucio Rosa, regista; Giuseppe Severini, liutaio esperto in Storia della Musica; Davide Tanasi, professore di Studi Classici e Archeologia presso l’Arcadia University di Siracusa; Fulvia Caffo, soprintendente bb.cc.aa. di Catania; Salvo Fleres, Ente Parco dell’Etna; Massimo Frasca, direttore della Scuola di Specializzazione Beni Archeologici di Catania; Gioconda Lamagna, direttore Museo Archeologico Paolo Orsi di Siracusa; Giusi Liuzzo, consigliere nazionale Archeoclub d’Italia; Marisa Mazzaglia, direttore Ente Parco dell’Etna; Luigi Messina, soprintendente bb.cc.aa. di Catania; Alessandra Mirabella, presidentessa dell’Archeoclub d’Italia di Aidone; Andrea Patanè, soprintendente bb.cc.aa. di Catania; Maria Antonietta Rizzo Di Vita, professore di Etruscologia e Antichità Italiche Università di Macerata; Giovanni Verga, sindaco di Licodia Eubea. Si sono effettuate anche visite guidate dei luoghi d’interesse. 

 12233196 10208377202013435 1112553900 n

Alla conclusione della manifestazione abbiamo intervistato Alessandra Cilio, direttrice artistica della Rassegna:

Quali sfide ci attendono per la divulgazione della conoscenza del patrimonio archeologico e quali sono gli ostacoli?

Divulgare il patrimonio culturale è già una bella sfida, per un archeologo.

Significa abbandonare il linguaggio tecnico dello scienziato per adoperarne uno più morbido, semplice e diretto. Significa tradurre il dato in racconto, senza per questo banalizzarlo, adattando il contenuto al suo pubblico, cioè la società, che è per sua natura multiforme, variegata, e che in quelle “pietre vecchie” cerca spesso un senso, un legame con il mondo attuale. Gli ostacoli, quando ci si confronta con le sfide, sono fisiologici. Uno per tutti è un certo habitus conservatore, palpabile in molti musei incapaci di dialogare con un’utenza che non sia quella degli “addetti ai lavori”, o in certi specialisti ancora convinti che la divulgazione sia un settore entro cui confinare chiunque non riesca ad affermarsi nella più pura indagine scientifica. La comunicazione è invece, a mio parere, complementare all’attività di studio e ricerca, e ha un ruolo cruciale nel nostro mestiere, in quanto serve a educare la società alla comprensione del bene culturale, che va di pari passo con la tutela, la valorizzazione e la fruizione di esso.

L’organizzazione di incontri che favoriscano la conoscenza del patrimonio archeologico costituisce dunque un importante momento di crescita e di confronto. In tale contesto, infatti, bisogna individuare linguaggi e strumenti efficaci, chiari e di forte impatto, senza tuttavia sacrificare accuratezza e rigore scientifico. Questi elementi trovano oggi riscontro nel cinema di settore (documentari, docu-film, docu-cartoon) e nei suoi protagonisti (case di produzione, archeologi, registi), capaci di narrare, attraverso il potente strumento delle immagini e dello storytelling, la Storia e le tante storie (del passato, del presente) che si intrecciano all'interno della disciplina archeologica.

Alternando la presentazione di film documentari a dibattiti, la Rassegna del documentario e della comunicazione archeologica di Licodia Eubea  vuole invitare il pubblico a dialogare con chi pratica l'archeologia per mestiere e con chi la racconta attraverso lo strumento cinematografico. 

Come spiegare la tecnologia in rapporto all'archeologia?

Tecnologia e archeologia negli ultimi anni costituiscono un binomio vincente.

I progressi nel campo dei GIS, delle ricostruzioni in 3D e della realtà immersiva hanno permesso di rendere il mondo antico tutt’altro che “intangibile”, avvicinandolo molto anche a chi non se ne occupa professionalmente. Nell’ambito della V edizione della Rassegna del documentario e della comunicazione archeologica di Licodia Eubea, abbiamo voluto sottolineare l’importanza crescente che i nuovi linguaggi informatici stanno assumendo nella comunicazione del patrimonio culturale, invitando a parlarne un esperto del settore, il professore Davide Tanasi, e presentando un film interamente realizzato con la grafica 3D: “Pompei 3D. Una storia sepolta”, dove la fedeltà nella ricostruzione dei dati archeologici si sposa con la creatività di un racconto ambientato poche ore prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. 

Per quanto riguarda la musica nell'antichità?

La musica nell’antichità: un tema tanto complesso quanto affascinante, dal momento che la vita stessa dell’uomo è sempre stata scandita da suoni e vibrazioni musicali, e lo è ancora oggi. Difficile immaginare un passato muto: sarebbe come immaginare il mondo antico in bianco e nero, quando lo sappiamo denso di colori e sfumature. Gli studi sulla comprensione e ricostruzione della musica antica hanno compiuto notevoli progressi negli ultimi anni: la direttrice del museo “Isidoro Falchi” di Vetulonia, Simona Rafanelli, ha offerto, nel corso della nostra manifestazione, una sintesi del suo progetto di studio, “La musica perduta degli Etruschi”, che porta avanti dal 2012 in sinergia con il musicista jazz Stefano Cocco Cantini. Insieme a lei, il liutaio Giuseppe Severini ha sperimentato, attraverso una serie di riproduzioni di strumenti musicali realizzate attraverso un attento studio iconografico, le sonorità del mondo preistorico e di quello greco. Il film “The lost sound. Il suono perduto”, della regista Elena Alessia Negriolli, ha permesso ai partecipanti di vivere passo passo l’emozionante scoperta di un autentico carnyx celtico e il tentativo, da parte di un’equipe di specialisti, di ricostruire lo strumento nella sua interezza assieme ai suoi cupi richiami di guerra.

La musica, insomma, ha costituito le file rouge di questa edizione 2015; non è un caso, infatti, che la locandina e la brochure di quest’anno recassero l’immagine di un suonatore di lyra, tratta da uno skyphos attico custodito all’interno del museo civico “Antonino Di Vita” di Licodia Eubea. 

Un bilancio della rassegna dalla prima edizione sino a questa del 2015?

Nel complesso il bilancio è positivo. In cinque anni abbiamo proiettato a Licodia Eubea oltre sessanta film italiani e stranieri. Le storie che abbiamo proposto hanno abbracciato le principali epoche storiche, ed hanno aperto una finestra su mondi lontani e spesso poco noti. Abbiamo invitato oltre venti ospiti da tutta Italia che hanno saputo ‘tradurre’ tematiche archeologiche spesso ostiche al grande pubblico.

Dalla prima edizione, in cui l’evento si è svolto in un’unica giornata presso la sede della sezione licodiana dell’Acheoclub d’Italia di fronte ad un ristretto numero di partecipanti, all’edizione 2015 appena conclusasi, in cui abbiamo visto alternarsi fasce di pubblico molto varie, dalla mattina alla sera, i progressi sono stati notevoli. Registi, storici del cinema, archeologi, docenti universitari, rappresentanti degli enti preposti alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali, ci hanno accompagnati in questo cammino. Nel 2012 abbiamo istituito un premio importante, il premio “Antonino Di Vita”, dedicato alla memoria di questo brillante archeologo, tanto rigoroso nella ricerca archeologica quanto piacevole nel raccontarla a chi non fosse del mestiere. Il premio viene annualmente assegnato a chi abbia speso la propria vita professionale nel diffondere la conoscenza del patrimonio culturale attraverso i media, dal cinema al web, dalle testate giornalistiche alla televisione. Nel 2014 è stato invece introdotto il “Premio Archeoclub d’Italia”, destinato al film più votato dal pubblico. L’idea è nata da un duplice obiettivo: da una parte, quello di invitare gli spettatori ad una partecipazione attiva, dall’altra, quello di comprendere le preferenze stilistiche e di contenuto di un pubblico assai eterogeneo, di cui si possa tenere conto nello sviluppo dei programmi per le edizioni future.  Abbiamo dato vita a una serie di eventi collaterali (visite guidate, escursioni nel territorio, esperienze eno-gastronomiche, fiere del libro) così da ‘naturalizzare’ l'evento all'interno di Licodia Eubea, contribuendo inoltre al suo sviluppo economico in termini di turismo culturale. Sono tutti tasselli di un mosaico, che anno dopo anno abbiamo messo insieme con fatica e perseveranza e che, proprio nell’ultima edizione, ci hanno fruttato il riconoscimento della Direzione Generale Cinema del MIBACT, assieme a un piccolo contributo economico che ci ha permesso di coprire in parte le spese sostenute. Un riconoscimento nazionale, che ci dà conferma dell’aver lavorato bene, nel corso di questi cinque anni.

Che mi dici riguardo ad obiettivi futuri?

Probabilmente l’obiettivo principale è quello di mantenere alto il livello della manifestazione, per film, ospiti e attività proposte. Non è facile, specie se si considerano i pochi fondi di cui disponiamo per mettere in moto un evento come la Rassegna: un evento che si articola in quattro giornate e che ci vede coinvolti anche durante l’anno nella preparazione dell’edizione successiva.

La speranza per il futuro, piuttosto, è quella di poter contare sulla collaborazione di giovani archeologi, comunicatori o registi che abbiano voglia di mettersi in gioco come abbiamo fatto noi cinque anni fa: gente sveglia e preparata, che nonostante il momento critico in cui si trova a operare, creda fortemente nel valore di simili iniziative. Gente sveglia e preparata, cui un giorno poter passare il testimone.

12204568 10208377199893382 2096926018 n

 

12204568 10208377200773404 1516530355 n

12242176 10208377200373394 1293279386 n

12242300 10208377200173389 528958972 n

12242357 10208377201653426 1698987556 n

12248733 10208377199373369 2040040199 n

12270018 10208377199653376 739964832 n

12270279 10208377201373419 1210965582 n

12273053 10208377201773429 1148713496 n

Archeounict - Palazzo Ingrassia, via Biblioteca, 4 -95124- Catania (Italia) - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Joomla School Templates by Joomlashack